medea



(2009)


Medea, mito che segna con le sue trasformazioni interpretative il passaggio dalla società matriarcale a quella patriarcale.
In principio personaggio divino, Medea è la donna, la maga sapiente, la straniera, l’elemento debole di una società che ha perso la sua identità e che la sceglie come capro espiatorio addossandole una colpa abominevole.
La sua storia parla di violenza, qualunque sia il ruolo si scelga per lei.
Ed è proprio questo suo essere profondamente donna, in un contesto sociale che non le riconosce più le sue doti, la sua sapienza legata alla Natura, che la tratta da diversa e da straniera e per questo la guarda con gli occhi del pregiudizio, che voglio raccontare.
Nel momento in cui lei stessa si perde.
Specchio della situazione in cui molte donne si trovano oggi, accecate dagli standard posti dalla società, che hanno distrutto il loro vero ruolo. Specchio della situazione di un'umanità che pensa di poter troncare il legame con la Natura senza rendersi conto che così facendo perde il contatto con sé stessa e con la radice della vita.
Dunque è la Natura che viene rappresentata, ma una Natura che gli occhi di Medea non sanno più riconoscere, in cui ella non trova più ciò che un tempo conosceva così bene. È il momento in cui Medea si rende conto di aver perso se stessa, il momento di una decisione mossa dalla necessità di mettere in salvo tutto ciò che le rimane, i suoi figli, come d'altro canto narravano le versioni più antiche del mito.
L'uso della pellicola è molto istintivo, l'esposizione multipla e l'uso di un materiale sensibile alla luce tungsteno donano sfumature di colore e disegni che l'occhio non può prevedere del tutto al momento dello scatto creando immagini forti e oniriche di una Natura che talvolta sembra minacciosa, ma che sempre appare sofferente.
È il corpo della donna a pagare questa sofferenza, è il corpo della Natura a sanguinare.

Medea è un lavoro composto da una serie di 11 immagini, un video e 9 testi poetici. Parte del lavoro è stato esposto presso:
  • Señales Rojas. In collaborazione con Istituto ItaloLatinoAmericano e Fondazione Volume!, La Magnolia 2010
  • Dislocazioni. La Magnolia, Roma 2009










selvaggia e potente
come la marea
ho scelto il mio destino
mi lascio inondare
riempire d’amore
mi piego ad un nuovo vento
per seguirlo lontano
divento sposa
per donare la vita
chiudo il mio occhio
per dimenticare il mio nome






il suono del mare
mi addormenta
il sale brucia la mia pelle
un sapore sconosciuto
mi risveglia ogni mattino
il respiro della terra
si fa sempre più debole
il suo ritmo
sembra lasciarmi
ma il mio cuore è preso
il mio corpo si trasforma
e mi lascio condurre
senza paura
scelgo di accogliere
accetto l’amore
e le sue ferite
senza tremare








senza pietà
amore
ha scavato nella mia pancia
divorato
senza lasciare nulla
e ora
svuotata
il mio passo
non sa trovare equilibrio








conoscevo i canti
dell’acqua
e degli alberi
conoscevo le formule
e ora cerco
cerco nel cielo
cerco tra le rocce
i segni
ma non posso trovare
la via del ritorno
non esiste più
la mia casa
non esiste più
Medea








la gente
sente le grida
e chiama la vittima
con il nome dell’orrore

ma io
non lascerò che la mia carne
e i suoi frutti
vengano sacrificati
nel nome di un odio cieco

prenderò i miei figli
di nuovo nella mia pancia
li cucirò ben stretti
e nascosti
li porterò lontano
dagli occhi degli uomini
per sempre salvi









tradita
scacciata
il mio nome
diventa una maledizione
additata nelle strade
le ombre non sanno più
nascondermi
il corso del sole
sembra aver dimenticato
il mio cammino










le voci degli alberi
riempiono di un’eco confusa
le mie orecchie
una lingua straniera
riempie la mia bocca
difficile da ingoiare

























è il momento
scorgo nel cielo
i segni
sento la pioggia
scorrere attraverso il mio corpo
sento la terra
vibrare sotto i miei passi
il volo degli uccelli
mi indica la strada
il mio sangue si scalda
la mia lingua si scioglie
ritrovo le parole
ritrovo nel mio nome
la donna
la madre
le ombre
e la luce